domenica 10 aprile 2011

NYC


Vorrei scrivere sempre in modo circolare, prendo l'ultima parola o l'ultimo tema di cui ho parlato nel post precedente e ricomnicio da lì. Poi un giorno decido di scavare negli archivi, riscopro la prima cosa che ho scritto; decido che è la fine e scrivo un post, che sarà l'ultimo post, e lo concludo con la prima cosa che ho scritto e chissà quando sarà il giorno in cui decido che è la fine. Non che la cosa abbia poi quale senso, forse renderebbe tutto più compiuto, sarebbe metafora di qualcosa di più ampio, line-up di tutto quello che c'è tra l'inizio e la fine che ho sciorinato durante tutto questo tempo. Avere una visione ciclica secondo me in fondo è importante, mette un pò meno paura, magari un inizio e una fine li decidi lo stesso, ma non hanno l'aspetto di essere così definitivi. Ad ogni modo, queste si chiamano seghe mentali. Ne ho tante e fintanto che ho bisogno di psicoanalisi autoindotta non deciderò di concludere qui.

Mi hanno detto che puoi tornare indietro a un certo tipo di lussuria quando hai imparato ad aspettare. C'è una bellissima, vecchissima canzone dei Radiohead in sottofondo ora, e siccome non posso iniziare e finire sempre con la stessa cosa, scrivo la prima cosa che trovo a sua volta scritta davanti a me che, del resto, sembra quasi volermi ricordare che certi voli pindarici non sono poi così privi di logica:

"Lo scopo dei miei scritti, come pure delle mie lezioni, è questo: trasformare gli uomini da teologi in antropologi, da teofili in filantropi, da candidati dell'aldilà in studenti dell'aldiquà, da camerieri religiosi e politici della monarchia e aristocrazia celeste e terrestre in autocoscienti cittadini della terra."

Ciao, thanks everybody, goodnight, Thom Yorke.

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