mercoledì 30 novembre 2011

PRELUDIO I

C'è sempre bisogno di qualcuno che aiuti a non andare alla deriva. Si dice così e così sia.
Quale consolazione può essere avere i tuoi amici scrittori. Quelli bravi, si capisce, quelli che insieme ai cani ti allungano la vita, non come quel Fabio ormai citato ovunque a cui Sterne avrebbe tirato pesanti sedie di ferro in testa. No.
Interessante, malleabile, eppur impalpabile senso di estraneità c'è nell'aria in questi giorni. Nell'aria del mio bilocale. E' inverno su-per-giù. Sì, direi inverno, le serate invernali prendono posto e si accomodano qui fuori dalla mia finestra. Sapore di bistecche che vengono cotte, nei corridoi. Sapore di Eliot nei 2x1m del mio corridoio.
Ho letto l'intervista che George Simenon rilasciò a Carvel Collins, pubblicata su The Paris Review, 1955.
Mi è venuta a questo punto una voglia spontanea di abbracciare George Simenon, il quale però è passato a miglior vita l'anno in cui io nacqui - l'anno in cui anche Beckett passò a miglior vita e Beckett in fin dei conti è un altro che si potrebbe abbracciare volentieri quando non è alle prese con essere umani sciancati rinchiusi in tolle con la segatura- e quindi, non saprei, il massimo che potrei fare è andare a visitare la sua tomba. Chissà poi dov'è questa sua tomba: in Belgio, in Svizzera?

Ciao George, sono venuta a dirti che apprezzo le tue parole, sì, apprezzo soprattutto quando parli della comunicazione, l'impossibilità di una comunicazione completa con uno dei miliardi di esseri umani che popolano il pianeta. Anche a me ogni tanto questo problema fa venire voglia di gridare, George. E a volte lo faccio, eccome, quando torno a 'casa', il fine-settimana, e guido per tutti quei chilometri, metto la musica altissima e faccio finta di gridare. George, non puoi immaginarti quanto sia bello comunicare nella nostra epoca, la globalizzazione e tutte queste storie, tu te le sei perse George, ma è bellissimo, si possono avere miliardi di amici in rete con cui condividere i tuoi pensieri e le emozioni. 
E' così indescrivibilmente splendido che sono venuta fin qui per dialogare con una tomba.
Non lo so George, perchè se scrivere è sul serio una vocazione d'infelicità e come tu dici un'artista forse non può essere davvero felice, qui funziona tutto davvero ironicamente, significherebbe che la mia gioia e il mio conforto nel leggerti sarebbero basate sulla tua infelicità e io non voglio davvero crogiolarmi e succhiare giuggiole nel tuo dolore, carissimo George. Ma sapessi che importa a te ora di queste stupidaggini, dell'infelicità, il dolore e tutto il resto, lì sotto terra dove stai adesso, ah, stammi bene vecchio G., almeno tu.
Sì ancora tu, ma non dovevo leggerti più?!

VIC

domenica 13 novembre 2011

LEAVE ME ALONE, TESTA DI GIARDINO

Dicono che per ogni storia d'amore ci sia un giorno perfetto.
Se fossi il poeta che per un attimo è riuscito a essere l'idolo di una nazione, se fossi quel poeta potrei scrivere: Ricordo l'attimo stupendo, dinanzi m'apparisti tu, come fuggevole visione, come il genio puro della bellezza...
Quel momento è stato il giorno perfetto, non si può pretendere più di tanto. Poi la perfezione dello sguardo è passata, un guizzo istantaneo che ha interrotto per sempre il pacifico trascorrere della tranquillità delle nostre vite. Non sono state più le stesse, abbiamo sinora camminato su una trave di legno che a tratti pende verso l'Inferno e a tratti pende verso il Paradiso. Al legno più in alto non ci siamo arrivati. Chissà se mai.
Dico, se fossi capace di scrivere versi non sarei Max Pezzali, no, ma potrei ricordare in modo più degno quel sacro momento. Quello e quell'altro ancora.
Sì, è stato con Annarella, la versione cantata dai La Crus. Ah, Dio. Li' non ho capito più niente, il mondo era lontano, le luci colorate e spente al punto giusto. io felice. Ero, lo ero. Dio mio! Un minuto di beatitudine, è forse poco per colmare la vita di un uomo?


VIC


lunedì 7 novembre 2011

S.O.S. RICARICA

Leggevo sulla Norton, mia ormai inseparabile amica in  folio, della vita di Jonathan Swift, gran personaggio.
Con quasi una certa riluttanza decise di scegliere la chiesa come carriera, così prese gli ordini e a quel punto scoprì le sue sorprendenti doti come scrittore satirico...ma questa è un'altra storia.
Più che altro leggevo ciò che concerne la sua visione del mondo. E' stato definito un misantropo, uno che odiava il genere umano e, di conseguenza, 'I viaggi di Gulliver' un'espressione di tale selvaggia misantropia. E in effetti lui stesso, in una lettera indirizzata a Pope, dichiarò che sì, amava i singoli individui, ma odiava "quell'animale chiamato uomo" in generale, offrendo a tale proposito una nuova definizione della specie non come animal rationale, ma semplicemente come animal rationis capax. Poi si sono messi a dire che in realtà lui amava i suoi simili, gli uomini, e l'antagonismo era solo rivolto alla visione fin troppo ottimistica che si aveva ai tempi per la quale si affermava che la natura umana è tutta essenzialmente buona. Belli e bravi. Non è possibile, la natura umana è profondamente e permanentemente soggetta al difetto e noi non possiamo farci niente finché almeno non riconosciamo le sue limitazioni morali e intellettuali. Una feroce indignazione gli aveva scombussolato il cuore. Comunque io trovo che avesse perfettamente ragione, e anche e soprattutto senza tutti i vari abbellimenti e tentativi di addolcire in qualche modo il suo pensiero che i critici gli hanno cucito addosso nel corso del tempo, immancabilmente. I critici spesso mi creano indignazione scombussolandomi il gulliver, parlano troppo. La sua indignazione era proprio verso il genere umano e, santo cielo, aveva ragione! Non aveva ragione? Guardatevi attorno e capirete quanto un'alta percentuale delle persone che vi stanno attorno soffre di una ridicola arroganza e di un ancor più ridicolo pensiero di possedere un'intima saggezza intoccabile, per non parlare del senso di superiorità che circonda ciascun ego. E quanto più i difetti sono evidenti, tanto più tali persone sentiranno il diritto di definire sé stessi esseri razionali e non esseri capaci di raziocinio, il che potrebbe in qualche modo giustificare certe evidenti falle di tutto questo sistema umano in generale. Ecco la nobile missione dell'ironia, ecco la nobile missione che Socrate aveva intrapreso. Ora, vi prego, prendete tutti questi geni, queste mani mancate alla composizione dell' Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, prendeteli e ascoltate i loro discorsi illuminati e illuminanti con tutta l'attenzione che meritano e alla fine, senza tradire emozione, tirategli un bel papagno ul naso. Saranno così altrettanto illuminati da prenderla con ironia.


VIC