giovedì 30 agosto 2012

The concept of tradition

Per quanto io realizzi e faccia grandi scoperte. Scivolo lo stesso sulle stesse cazzate, grazie a Dio per lo meno è finita l'estate. Una qualche scrittrice russa, o polacca, mi ricordo solo di un nome dall'alone sovietico, ha scritto e qualcuno l'ha tradotta che WAITING IS EROTIC. Può darsi che waitingiserotic se alla fine dell'attesa succede qualcosa. Del resto, un'attesa di cui si conosce l'oggetto non può in alcun modo essere erotica. E' erotica quando il fine non esce da sé stesso, quando ti si offre nuda e sensuale, distesa tra strazianti lenzuola di seta bianca.
Ho bisogno di questi momenti evidentemente, ho bisogno, e dico bisogno, di loro: mal di testa e ripensamenti a libercoli che incitano gli studenti a sviluppare i loro muscoli per evitare di masturbarsi.
Scrivere è terapeutico, anche se scrivi bugie, perché, quando scrivi, la verità non è più del tutto vera, nuda come l'attesa no di certo. Si veste delle aspettative di coloro a cui getti in pasto le tue parole. Waiting is erotic per ciascuno diventa l'immagine particolare di una sensazione particolare, personale, vera solo in quel particolare perciò non vera. Què és la veritat? stava scritto a Barcellona su quel tempio un po' profano, la  Sagrada Familia. Buon Dio, che ne so, se solo si potesse evitare in qualche modo questo buco in cui Satana è sprofondato.
Ma evidentemente ho bisogno anche di questo. Di tutto. Sì, tutto, tutto, tutto.
Di credere negli autori del passato e nella tradizione. Nella tradizione.
Poi che qualcosa accada, perdio! Che qualcosa accada contro questo orrore che mi coglie di poter diventare grassa col tempo, di innamorarmi, di addomesticarmi.
Quest'orrore. Mr. Kurtz is dead.




venerdì 10 agosto 2012

VACANZA AI TROPICI

Per sette anni andai in giro, notte e giorno, con in mente una sola cosa: lei. Se ci fosse stato un cristiano fedele al suo Dio quanto io ero fedele a lei, oggi noi tutti saremmo altrettanti gesucristi. Notte e giorno pensavo a lei, anche quando la ingannavo. E ora, a volte, nel bel mezzo delle cose, quando io credo d'essermene completamente liberato, magari voltando l'angolo, saltano fuori una piazzetta, pochi alberi, una panchina, un luogo deserto dove ci eravamo fermati a litigare, dove c'erano state scene di gelosia folle, da impazzire. Sempre un luogo deserto, come la place de l'Estrapade, per esempio, o quelle straduzze sudicie, tetre verso la moschea, o lungo quella tomba spalancata che è avenue de Breteuil, così silenziosa alle dieci di sera, così morta, che ti fa pensare che so? all'assassinio o al suicidio, ma basta che crei un vestigio di dramma umano. Quando mi rendo conto che lei non c'è più, partita per sempre, si apre un gran vuoto e mi sembra di cadere, cadere, cadere in un profondo spazio buio. E questo è peggio delle lacrime, più profondo del rammarico, del dolore, della pena: è l'abisso in cui fu precipitato Satana. Non c'è modo di risalire l'abisso, non raggio di luce, non suono di voce umana o umano tocco di dita.
 Quante migliaia di volte, passeggiando per le strade di notte, mi sono chiesto se sarebbe tornato il giorno ch'io la riavessi al mio fianco: tutte le occhiate di desiderio che lanciavo alle case e alle statue; le guardavo con tanta fame, con tanta disperazione che ormai i miei pensieri dovevano essere parte degli edifici stessi e delle statue, dovevano essere saturi della mia pena. Non potevo neanche fare a meno di riflettere che quando passeggiavamo insieme per queste strade sudicie e tetre, così sature ora del mio sogno e del mio desiderio, lei non aveva osservato nulla, sentito nulla: erano per lei come ogni altra strada qualsiasi, un po' più sordide, forse, ma basta. Lei non ricordava che a un certo angolo io mi ero fermato a raccogliere la sua forcina, e che, chinandomi a legarle le stringhe, avevo notato il punto su cui s'erano posati i suoi piedi e ci sarei rimasto per sempre anche dopo che fossero demolite le cattedrali e tutta la civiltà latina fosse stata spazzata via per sempre.
Una notte, passeggiando giù per rue Lhomond, in un attacco di insolito dolore e desolazione, certe cose mi si rivelarono con acuta chiarezza. Forse perché tante volte ero passato, amaro e disperato, per queste strade, forse perché ricordavo una frase che lei aveva lasciato cadere una notte che eravamo a place Lucien Heer; non so. "Perché non mi mostri quella Parigi" disse, "di cui hai scritto?" Una cosa ricordo: che al rammentare quelle parole all'improvviso io capii l'impossibilità di rivelar mai la Parigi ch'ero riuscito a conoscere, la Parigi degli arrondissement indefiniti, una Parigi che non è mai esistita se non in virtù della mia solitudine, della mia fame di lei.


Tropico del Cancro

Henry Miller