domenica 30 gennaio 2011

Please don't scratch me out


Accantonato l'esame di inglese che devo dare da circa un anno e ancora ho deciso di rimandare (...) (sono pessima), mi sono buttata sul teatro russo che, suvvia, è molto meglio.
Bene.
Ho letto i primi due atti dello Zio Vanja sinora, Cechov. Nell'albo delle penne magiche anche lui.
Bhè, quello che ci ho scarabocchiato fuori è il seguente:

- Elena Andreevna: Donna di principi, un pò a strani a dir la verità, ma comunque sempre principi sono. Sogna di poter conciliare tutto con tutti e viceversa.

- Zio Vanja: Uomo consumato dal rimpianto di un passato speso in sciocchezze e il presente, ora, che si presenta come un'assurdità a cui guarda con cinismo, amara ironia (?)
Posseduto da un amore roditore per Elena Andreevna, non vuole come lei essere trattenuto "dalle filosofie", non vuole neanche che lei avvizzisca nella pigrizia, come di fatto succede.

Astrov: figura degnissima, è un medico che pensa che "lo sa Dio quale sia la nostra vera vocazione", ama i boschi e ama bere perchè quando è ubriaco sente che sarà in grado di essere portatore di un immenso vantaggio per l'umanità. Non è appagato dalla vita, dice lui, come Vanja, finiranno per diventare tutti dei borbottoni e nient'altro.
A un certo punto nel secondo atto c'è un suo monologo che è un vero capolavoro di certo cinismo.

Sonja: Una giovane donna che si sente dire dall'uomo che ama (Astrov) che lui ormai non può più amare nessuno...nessuno. E' attratto solo dalla bellezza al più, mentre lei è brutta, "brava, generosa, ma così brutta".

E' tutto un rincorrere, rincorrersi e non raggiungersi. Per ora.

venerdì 28 gennaio 2011

Orazio, Orlando, Virginia


"Davvero il mio lavoro continuerà a vivere? Non ci riesco. Perché io volevo fare lo scrittore, io volevo scrivere di tutto, di tutto ciò che può accadere in un momento, di come erano i fiori mentre li portavi tra le braccia, di questo asciugamano, del suo odore, della sensazione che dà la sua trama, di tutte le nostre sensazioni, le tue e le mie, della nostra storia, di chi eravamo una volta, di tutte le cose del mondo, tutto mescolato insieme, come tutto è mescolato adesso... E invece ho fallito. Ho fallito. Il punto di partenza può essere anche alto ma finisce col ridursi."
Richard, da "The hours"

Io volevo quello, ma non volevo stare qui a studiare la metalanguage, no, questo no perdio.
Cosa me ne importa? Però è il dovere morale in me, come il cielo stellato sopra di me, di chi era questa? Kant. No, davvero, non me ne voglia Immanuel, non ho voglia. Poi non c'è neanche tempo. Però bisogna.
The hours l'ho sinceramente apprezzato, sto realizzando che mi piacciono vivamente quasi tutti i film com Meryl Streep e Nicole Kidman, scelgono bene i copioni. E' uscito otto anni fa ormai, qualcosa del genere, ma sono sicura che esista una qualche ragione per cui io l'abbia guardato solo ieri sera quando, in preda al circolo vizioso del mio curioso stile di vita, erano le tre e mezza a.m. e mi sentivo più vitale che mai.



Buongiorno signora Dalloway



Bisogna a un certo punto e senz'altro per almeno un pò di tempo, decidete voi quanto, imparare a prendere i rapporti umani per quello che sono: transitorietà.
Capire che "alla fine è lo stesso". Funziona proprio così, è il contrasto che rende tutto degno di vivere. Lo sapeva bene Virginia Wolf, lo sapeva lei, bellissima comunque nel fiume, tristissima, le ore.
Lei però non sapeva che bisognava applicare la regola con una data di scadenza, per non farsi affogare capite.
E' tutto lì. L'epifania del XX secolo, il momento in cui si hanno idee brillanti quando ci si sveglia di buon umore la mattina, ballare una canzone quando sei in casa da sola nel cuore della notte, due braccia che ti stringono. Tutte queste cose. Bisogna amarle proprio in quel momento, amarle da impazzire e poi lasciarle andare, prendere la propria barchetta e rimettersi sulla riva per il tempo necessario affrontando la nausea che ti lasciano. Perchè solo così poi sarai capace di amare pazzamente di nuovo.
Il contrasto, non c'è niente di più importante.

domenica 23 gennaio 2011

La piazza e la roulotte


Shatzy tornò a casa che erano le cinque del mattino. Quando andava a letto con qualcuno, poi detestava dormirci insieme. Era ridicolo, ma trovava sempre qualche scusa e se ne andava. Si sedette sui gradini, senza entrare. Era ancora buio. C'erano rumori strani, rumori che di giorno non si sentono. Come briciole di cose che erano rimaste indietro, e adesso si davano da fare per raggiungere il mondo, e arrivare puntuali all'alba, nel ventre del rumore planetario.
C'è sempre qualcosa che si perde per strada, pensò.
Finire nel letto di uno che non hai mai visto prima è come viaggiare. Lì per lì è tutta una gran fatica, anche un pò ridicola. E' bello dopo, quando ci ripensi. E' bello averlo fatto, andare in giro il giorno dopo, pulite e impeccabili, e pensare che la notte prima tu eri là a fare quelle cose e a dire quelle cose, soprattutto a dire quelle cose, e a uno che non vedrai più.
Di solito non li vedeva mai più.
Devo smetterla, pensò.
Non si finisce da nessuna parte, così.
Sarebbe tutto più facile se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto. Magari mi iscrivo in palestra, pensò. Ce n'era una lì vicino, che era aperta anche di sera. Perchè mi piace fare tutto di sera? Si guardo le scarpe, e i piedi nudi nelle scarpe, e le gambe nude sopra i piedi, fino al bordo della gonna, corta. Le calze, autoreggenti di seta, le aveva appallottolate nella borsa. Non riusciva mai a rimettersele, quando si alzava dal letto per rivestirsi e andarsene. Era come ricaricare le pistole dopo un duello. Stupido. Cosa ne dici vecchio Bird? Anche tu le rimettevi nella fondina scariche, le tue pistole, dopo aver sparato? Le appallottolavi e le cacciavi nella borsa? Vecchio Bird. Ti farò morire in un modo bellissimo.
Pensò di entrare e andare a dormire. Ma alla luce dei lampioni si vedeva la roulotte, immobile, posata nel giardino, un pò meno gialla del solito. Una volta alla settimana la lavava per bene, anche i vetri, e le gomme, tutto. A furia di vederla lì, ogni giorno, per mesi, era diventata un pezzo del paesaggio, come un albero, o un ponte su un fiume. Shatzy lo capì tutto d'un colpo, in quel buio da notte agli sgoccioli, con le calze da puttana appallottolate nella borsa: immobile, luccicante, gialla: non era più qualcosa che aspettava di partire. Era diventata una di quelle cose che hanno come compito rimanere, tenere ferme le radici di un qualche pezzo di mondo. Le cose che, al risveglio o al ritorno, hanno vegliato per te. E' strano. Ci si va a cercare marchingegni incredibili per farsi portare via lontano, e poi li si tiene accanto con un amore tale che lontano, prima o poi, diventa lontano anche da loro.
Stronzate, è solo questione di trovare una macchina, pensò.
City
Alessandro Baricco

martedì 11 gennaio 2011

Caro diario, ci sono un pò di persone che mi sarebbe piaciuto conoscere

"Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in quegli anni avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiarsi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari. "

Una solitudine troppo rumorosa
Bohumil Hrabal

lunedì 10 gennaio 2011

Fatti caricare da un camionista zoccola!


- ...Marcello, di che cosa vuoi avere paura?
- Di te, del tuo egoismo, dello squallore desolante dei tuoi ideali. Ma non lo vedi che quello che mi proponi è una vita da lombrico? Non sai parlare d'altro che di cucine e di camere da letto, ma un uomo che accetta di vivere così lo capisci che è un uomo finito! E' veramente un verme! Io non ci credo a questo tuo amore aggressivo, vischioso, materno! Non lo voglio, non mi serve! Questo non è amore, è abbrutimento! Come te lo devo dire che non posso vivere così, che non ci voglio più stare con te, voglio stare solo! Scendi da questa macchina!
- No! Sei una carogna, un vigliacco e mi fai proprio una gran pena!
- Va bene io ti faccio pena e tu mi fai schifo! Scendi!!!

domenica 9 gennaio 2011

Caffè nero e forte senza zucchero


Allora, sono dell'opinione che bisogna sempre cercare qualche motivazione per cui vivere se ogni tanto ti ritrovi lì un pò rimbambito e non ti ricordi più perchè lo fai. Come in Manhattan.
Ma sono ancor più dell'opinione che bisogna leggere Anna Karenina in almeno tre diversi momenti della vita. Fondamentalmente per arrivare ad avere un chiaro specchio della linfa vitale che percorre i rapporti umani e che li fa cambiare, evolvere e poi forse finire.
Dico Anna Karenina perchè Anna Karenina è il massimo della concretezza che si possa raggiungere in un'opera d'arte, astratta in qualche modo per sua stessa definizione. Capite che non si tratta qui di descrivere semplicemente i sentimenti, così, in generale. No, qui si descrivono le minime intenzioni che stanno dietro i sentimenti, i piccoli invisibili scatti nervosi, i più umani gesti e sottili pensieri che accompagnano una disposizione d'animo felice così come una triste. E solo i russi lo sanno fare. Bhè forse non solo i russi, ma io non ho mai letto altro tipo di scrittore che lo sappia fare meglio. Non so cosa avevano nel sangue, cosa respiravano in quell'aria ottocentesca lassù al freddo, ma loro per me sono indiscutibilmente il paradigma dell'eccellenza.
Ah, ehmmm, bhè dev'essere ottimistico. Perchè vale la pena di vivere? Un'ottima domanda...Bhè ci sono certe cose per cui vale la pena di vivere, ehmmm, per esempio, ok, ah per me, io direi, la vecchia prosa russa per dirne una, l'amore di Anna Karenina...(poi certo le incredibili mele e pere di Cezanne).

"Ma io non voglio sapere!" quasi gridò lei. "Non voglio. Mi pento forse di quel che ho fatto? No, no e no. E se si ricominciasse daccapo sarebbe lo stesso. Per noi, per me e per voi una sola cosa è importante: se ci amiamo a vicenda. E non ci sono altre considerazioni. Perchè abitiamo qui separati e non ci vediamo? Perchè non posso andare a teatro? Io ti amo e non m'importa di niente," disse in russo dopo averlo guardato con un particolare fulgore degli occhi a lui incomprensibile, "se tu non sei cambiato. Perchè non mi guardi?"

Capite, così poi uno rimane tranquillo per un pò, prima che il pendolo torni a oscillare dalla parte sbagliata e non è costretto a sentirsi per sempre Roquentin.
Konstantin Dmitrič Levin, una pietra miliare, come sempre.
Love, Vic
Comunque, per rimanere sempre in ambito sputa-sentenze da profana quale sono, per me Manhattan è senza dubbio il miglior finale uscito dal gulliver di Woody Allen e forse non solo.


Желаю тебе счастъя

"She's a moving violation
from her conk to her shoes
but it's just an invitation to the blues


What the hell have I got to lose?
got a crazy sensation
go or stay and I've got to choose
and I'll accept your invitation to the blues."

venerdì 7 gennaio 2011

IL PRIMO DI FEBBRAIO


(Mi sono svegliata ascoltando la mia canzone preferita e ho avuto una pessima idea.
Una canzone che parlava di paradisi e di cosa ho fatto di sbagliato per arrivarci.
Tu mi stavi riportando a casa la sera prima.
Finchè non è tornato il suo fantasma a riprendersi l'amore della mia vita.
Ho conosciuto l'amore, il primo di febbraio.
Ma non ho mai, mai pensato che avrei avuto bisogno di qualcuno come te.

Eri esplosivo nelle vene, qualcosa di nuovo.

Il primo di febbraio.
Non so più come coniugare i verbi.)

Vic

Questo genere di certezza si ha solo una volta nella vita

"Io non voglio avere bisogno di te
perché non posso averti"

Questo coso è veramente troppo straziante, quella mano che vuole aprire la portiera poi. Non ce la faccio. E perseverano nel mandarlo in onda ogni anno ogni gennaio e io lo guardo. I ponti di Madison County.

mercoledì 5 gennaio 2011

Il Primo Post Del Duemilaunidici


Duemilaundici, che in russo suonerebbe più o meno 'dvie-tisici-adinatset', così.
Ho gli occhi che mi si chiudono e domani mattina dovrò provare a non svegliarmi dopo mezzogiorno. Ogni tanto me ne vengo fuori con la storia che la mia carriera universitaria sta lentamente morendo. Ecco, lo vorrei asserire anche adesso. "La mia carriera universitaria sta morendo, neanche troppo lentamente!".
Fa niente. (Si fa per dire).
Sono stanca, ma avevo voglia di scrivere lo stesso perché questo 2011 mi piace un sacco, perché l'uno più uno messi lì alla fine fanno due e "non c'è due senza te", dunque mi convinco che sarà un anno fantastico, in generale. Pensiero che peraltro ho potuto scientificamente provare leggendo l'oroscopo di Antonio Capitani su Vanity Fair. Detto questo, ma a chi serve una laurea?!
Questa sera sono anche andata a vedere un concerto gospel e c'era il fratello minore di Nevruz che cantava Happy Days e nel mentre ho pensato che devo proprio riguardare "Il giardino delle vergini suicide" perché non lo ricordo per niente e ultimamente ho già rivisto "Lost in translation".
Comunque.

Come delle canzoni possano avvicinare due persone. Distanti chilometri, che hanno condiviso chilometri. Tutte le simpatie cominciate con questo, amori nati da citazioni, affinità nate a pelle. No, non si possono calcolare nel numero di parole scambiate, nè in minuti passati sotto lo stesso tetto.
Guardalo mentre dorme, guarda il posacenere pieno delle sue sigarette, riconoscilo in ogni idiozia che ti riempie la giornata.
Sinceramente, fallo tuo senza troppi avvelenamenti.
Il punto è che lo si fa troppo spesso, ci si avvelena in qualche modo, e poi, certo, non si riesce più a fare uno più uno.
Questo invece è proprio l'anno giusto.
Love, Vic