sabato 17 novembre 2012

The portrait of a lady #2


(Leggere Henry James trasforma le persone in meglio)

Si vide, negli anni a venire, ancora nella posizione della donna che aveva la sua vita da vivere, e quei presagi contraddicevano lo spirito dell'ora presente. Poteva essere desiderabile andarsene lontano, veramente lontano, più lontano ancora della piccola Inghilterra verde e grigia; ma questo privilegio, evidentemente, doveva esserle negato. In fondo all'anima sua, più profondo ancora di qualsiasi rinuncia, era il senso che la vita sarebbe stata un dovere per lei, per molti anni ancora. A momenti in quella convinzione c'era qualcosa di ispirato, quasi d'entusiasmante. Era una prova di forza: la prova che un giorno ella avrebbe potuto essere felice di nuovo. Era impossibile che dovesse vivere soltanto per soffrire; era giovane ancora, dopo tutto, e potevano capitarle ancora tante cose. Vivere soltanto per soffrire, per sentire la ferita infertale dalla vita ripetersi e approfondirsi...le sembrava di essere troppo ricca di capacità e valore, per questo. Poi si domandava se non era vanitoso e stupido pensare tanto bene di sé. Quando mai era stata una garanzia, avere un valore? La storia non era tutta piena della distruzione delle cose preziose? Non era molto più probabile che se uno era raffinato dovesse soffrire? Era, forse, un'ammissione di volgarità, ma Isabel riconosceva, mentre le passava dinanzi agli occhi rapida e vaga, l'ombra di un lungo avvenire.


Isabel si sentiva giustamente rallegrata, ma la sua soddisfazione non era scevra d'una certa malinconia. Henrietta, dopo tutto, si era confessata umana e femminile: Henrietta, che ella fino allora aveva considerato una fiamma vivida e ardita, una voce disincarnata. Era una delusione scoprire che aveva suscettibilità personali, che era soggetta a comune passioni, e che la sua intimità con Bantling non era stata completamente originale. C'era una mancanza di originalità nella decisione di sposarlo, c'era perfino una specie di stupidità; e per un momento, agli occhi di Isabel, lo squallore del mondo prese una tinta più cupa.


Era arrivata a conoscere Roma profondamente, teneramente: la città si fondeva alla sua passione e la moderava, ma ella finiva col pensarla specialmente come un luogo dove gli uomini avevano sofferto. Era questo il pensiero che l'assaliva nelle misere chiese dove le colonne marmoree, trasferite colà dalle rovine pagane, sembravano offrirle una compagnia nella rassegnazione, e l'odore del vecchio incenso le pareva una esalazione di preghiere inascoltate. Non v'era eretica più gentile e più illogica di Isabel: il più fermo dei credenti, fissando i quadri anneriti degli altari o i grappoli di candele, non poteva sentirne più intimamente la suggestione, o essere più suscettibile, in quel momento, di una visitazione spirituale.

martedì 13 novembre 2012

PER LO PIU', PECORE E DINOSAURI

La musica mi mette gioia. Sì, mi mette gioia come essere accudita quando ho la febbre alta e non capisco più niente, penso solo che sono sulla strada giusta per avere una visione mistica: una pecora innalzata su un altare di legno circondata da un gregge di pecore ammiratrici, essa sta per ascendere al cielo, che frattanto si è squarciato in due ed è pronto ad accoglierla tra belati che non ho ancora capito se siano festanti o meno. Ho sempre avuto un'ammirazione per le pecore, assomigliano tanto agli uomini seppur più buffe e graziose d'aspetto, quindi in definitiva amo anche gli uomini, faccio come ci ha detto San (Pier) Paolo (Pasolini) da Damasco. Amo essere accudita anche se ciò per lo più comporta una fuga di visione a favore di un'allineazione e amo la musica, anche quando è triste, certo, di solito più è triste più mi mette gioia. Niente mi commuove di più di quell'assolo che viene fatto in Said the People dei Dinosaur Jr. o di quando dice I'm countin' on you. Non c'è momento in cui siamo più liberi di far vagolare qua e là il sincero flusso delle nostre sensazioni come quando ascoltiamo (bella) musica o diciamo una preghiera a Dio anche se la storia su di lui non ci quadra proprio del tutto. Non c'è del resto bisogno per fare questo di saper scrivere recensioni piene di termini stralunati e molto acculturati come fanno i tizi di ondarock, l'ultima mia phrase preferita era "astrazioni labrafordfiane", non ho idea di cosa voglia dire e da dove venga, però penso di leggere le recensioni di onda rock proprio per sentire dire cose come astrazioni labrafordfiane. Mi compro alcuni dei cd da loro definiti pietre miliari.
Comunque il fatto è che quando si è giovani ma non più così tanto giovani, si inizia a essere attanagliati da tante paure circa la vita, il fatto di essere dei falliti, le malattie, le responsabilità, la fortuna di trovarti accanto qualcuno che crescendo è cresciuto come te e non ha deviato verso altri status mentali più (non dirò quella parola), la fortuna di trovare qualcuno che ti faccia sentire meno solo non confondendo le categorie amore e proprietà o le categorie amore e discarica dei rifiuti. Ti attanagliano davvero e, sopratutto se sei forte, non puoi riuscire a scansare certi pensieri, soprattutto se sei, forte? Sei una waste land a 23 anni, lasciatemelo dire, inizi a intravedere cose sgradevoli e grazie a Dio se si possono avere momenti in cui ascoltare assoli come quello in Said the People! grazie Dio! te lo ripeterò in una di quelle preghiere un po' sconnesse a cui sto ancora cercando di dare un senso in cui ti immagino circondato da bellissimi caproni che stanno per giungere verso di te.

VIC

venerdì 2 novembre 2012

THE PORTRAIT OF A LADY

Ella si era domandata spesso se mai era stata, o avrebbe mai potuto essere, intima di qualcuno. Aveva un'ideale dell'amicizia, e così di parecchi altri sentimenti che non le sembrava completamente rappresentato dal caso presente, come non lo era sembrato in altri casi. Si andava ripetendo, tuttavia, che c'erano ragioni essenziali per cui l'ideale non può realizzarsi mai. Era cosa in cui credere, non da vedere: era questione di fede, non di esperienza. L'esperienza, però, poteva fornire imitazioni molto stimabili, e toccava alla saggezza accontentarsene come meglio poteva.

Non vi è base più comune per una unione d'una scambievole incomprensione.

"Non mi creda scortese, ma è proprio questo che mi piace: che lei mi perda di vista. Se si stesse nello stesso luogo, sentirei che lei sta sempre lì a guardarmi, e questo non mi piace...amo troppo la mia libertà. Se c'è una cosa al mondo che amo," continuò con un leggero ritorno di superiorità "è la mia indipendenza".

Questo è molto immaturo da parte sua. Quando avrà vissuto tanto quanto me, si accorgerà che ogni essere umano ha il suo guscio e che bisogna prendere in considerazione anche il guscio. Ma per guscio intendo tutto l'involucro delle circostanze. Un uomo, una donna isolati non esistono: ciascuno di noi è fatto di qualche grappolo di accessori. Che cos'è il nostro 'io'? dove comincia? dove finisce? Trabocca in tutto ciò che ci appartiene e poi rifluisce di nuovo in noi. So che gran parte di me è nei vestiti che scelgo e che indosso. Io ho un gran rispetto per le cose ! Il nostro io, per gli altri, è l'espressione che noi diamo del nostro io; e la nostra casa, i nostri mobili, il nostro abbigliamento, i libri che leggiamo, gli amici che scegliamo...tutte queste cose sono profondamente significative!"


"Cerco di pensare più al mondo che a me stessa...ma torno sempre a me perché ho paura." Tacque. La sua voce aveva tremato un poco. "Sì, ho paura; non so come dire. Una fortuna simile significa la libertà, e io ne ho paura. E' una cosa tanto bella, e bisognerebbe farne buon uso, altrimenti ci sarebbe da vergognarsi. E bisogna continuare a pensare: è uno sforzo costante. Non so se sia una felicità maggiore essere privi di ogni potere."
"Non dubito che sia una felicità maggiore per i deboli. Per i deboli dev'essere terribile lo sforzo per non rendersi disprezzabili."

Era capace di sentirsi un po' ferita dalla scoperta d'essere dimenticata, ma di tutte le libertà, quella che trovava più dolce era la libertà di dimenticare.

"Secondo me," disse " le cose dovrebbero piacere o non piacere. Non tutto può piacere, si capisce, ma perché volerlo spiegare a tutti i costi? Non si sa mai dove si potrebbe arrivare. Ci sono alcuni buonissimi sentimenti che possono avere motivi cattivi, è vero o no? E così talvolta ci possono essere pessimi sentimenti che hanno ottimi motivi. Capisce quel che voglio dire? A me non importa nulla dei motivi, ma so quel che mi piace".

Non essendo mai stato un visitatore importuno, non aveva avuto mai l'occasione di rendersi sgradito; le si era raccomandato con quell'aria di essere perfettamente in grado di poter fare a meno di lei come lei lo era di fare a meno di lui: qualità che, strano a dirsi, la colpiva sempre come base favorevole per stringere una relazione.

Si prendeva tanto sul serio però; era, questo, qualcosa di terribile. Sotto tutta la sua cultura, il suo ingegno, la sua amenità, sotto il suo buon carattere, la sua disinvoltura, la sua conoscenza della vita, si nascondeva l'egoismo come una serpe in una proda fiorita.

La concezione della vita aristocratica era per lei semplicemente l'unione di un grande sapere con una grande libertà: il sapere avrebbe dato un senso di dovere, e la libertà un senso di godimento. Ma per Osmond era solo questione di forme, un atteggiamento consapevole, calcolato.