martedì 11 giugno 2013

Inutilità della puntualità

Ho visto il giovane Werther oggi. Arrivo in biblioteca, vado a prendere l'acqua ed eccolo lì. Gioia? Dolore? Ma no, boh, de void. L'incontro di due estranei. Adesso è a questo affare qui che penso, Roby. 
Poi torno a casa, molto più tardi, e vedo che sulla bacheca in cucina c'è una frase che lui ha scritto tempo fa.
(Ah, allora non è un'illusione, c'era un tempo in cui stavamo insieme, pensavo di essermelo sognato.)
Come va? Stai facendo esami? Sì, sì, esami...ciao, ciao, buona giornata con tre punti esclamativi. Il vero peccato è la banalità.
Poi vedo Ofelia, per tre volte, tre volte! Sei meglio tu, è meglio lei, ma a fanculo.
Poi vado a comprarmi la birra al supermarket, mi chiedono l'id alla cassa. Ho 24 anni tra poco, il cuore all'estero e mi chiedono l'id.
Ma d'altra parte, this is life babe!
Non è finita. Nella successione di eventi poi torno a casa, vedo la frase ancora scritta lì ("cercò la sua serenità dal terzo piano", la serenità) più fragile di un pulcino giallo appena nato e senza avere ancora aperta la birra minuziosamente identificativa della mia età, prendo il cellulare e con un po' di incertezza che vive nelle mie dita, nel mio cervello e nel mio ambiente gastrico digito e invio la fatale sentenza: "Non mi piace essere estranei".
Ma tu, dove vuoi andare senza la tragedia nelle vene e la birra nello stomaco?!


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