venerdì 10 agosto 2012

VACANZA AI TROPICI

Per sette anni andai in giro, notte e giorno, con in mente una sola cosa: lei. Se ci fosse stato un cristiano fedele al suo Dio quanto io ero fedele a lei, oggi noi tutti saremmo altrettanti gesucristi. Notte e giorno pensavo a lei, anche quando la ingannavo. E ora, a volte, nel bel mezzo delle cose, quando io credo d'essermene completamente liberato, magari voltando l'angolo, saltano fuori una piazzetta, pochi alberi, una panchina, un luogo deserto dove ci eravamo fermati a litigare, dove c'erano state scene di gelosia folle, da impazzire. Sempre un luogo deserto, come la place de l'Estrapade, per esempio, o quelle straduzze sudicie, tetre verso la moschea, o lungo quella tomba spalancata che è avenue de Breteuil, così silenziosa alle dieci di sera, così morta, che ti fa pensare che so? all'assassinio o al suicidio, ma basta che crei un vestigio di dramma umano. Quando mi rendo conto che lei non c'è più, partita per sempre, si apre un gran vuoto e mi sembra di cadere, cadere, cadere in un profondo spazio buio. E questo è peggio delle lacrime, più profondo del rammarico, del dolore, della pena: è l'abisso in cui fu precipitato Satana. Non c'è modo di risalire l'abisso, non raggio di luce, non suono di voce umana o umano tocco di dita.
 Quante migliaia di volte, passeggiando per le strade di notte, mi sono chiesto se sarebbe tornato il giorno ch'io la riavessi al mio fianco: tutte le occhiate di desiderio che lanciavo alle case e alle statue; le guardavo con tanta fame, con tanta disperazione che ormai i miei pensieri dovevano essere parte degli edifici stessi e delle statue, dovevano essere saturi della mia pena. Non potevo neanche fare a meno di riflettere che quando passeggiavamo insieme per queste strade sudicie e tetre, così sature ora del mio sogno e del mio desiderio, lei non aveva osservato nulla, sentito nulla: erano per lei come ogni altra strada qualsiasi, un po' più sordide, forse, ma basta. Lei non ricordava che a un certo angolo io mi ero fermato a raccogliere la sua forcina, e che, chinandomi a legarle le stringhe, avevo notato il punto su cui s'erano posati i suoi piedi e ci sarei rimasto per sempre anche dopo che fossero demolite le cattedrali e tutta la civiltà latina fosse stata spazzata via per sempre.
Una notte, passeggiando giù per rue Lhomond, in un attacco di insolito dolore e desolazione, certe cose mi si rivelarono con acuta chiarezza. Forse perché tante volte ero passato, amaro e disperato, per queste strade, forse perché ricordavo una frase che lei aveva lasciato cadere una notte che eravamo a place Lucien Heer; non so. "Perché non mi mostri quella Parigi" disse, "di cui hai scritto?" Una cosa ricordo: che al rammentare quelle parole all'improvviso io capii l'impossibilità di rivelar mai la Parigi ch'ero riuscito a conoscere, la Parigi degli arrondissement indefiniti, una Parigi che non è mai esistita se non in virtù della mia solitudine, della mia fame di lei.


Tropico del Cancro

Henry Miller

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