Colpisce questa forza prorompente, questo bisogno di narrazione che si afferma anche in opere che programmaticamente rifiutano quasi la narrazione sentendola come
finzione, poco autentica, falsificante, obbediente a regole pericolose di abbellimento del racconto, creazione di attesa e suspense, gusto della sorpresa e del facile scioglimento di nodi che, di solito, nella vita autentica restano molto più a lungo aggrovigliati. La storia della letteratura della modernità è ricca di rifiuti della narrazione, di esperimenti per frammentarla, mascherarla, mostrarne i meccanismi e le facili lusinghe. E però, dopo tante sentenze capitali o dichiarazioni di morte presunta, che hanno percorso quasi tutte le avanguardie del Novecento, il racconto e il romanzo hanno fatto continuamente ritorno. Un grande biologo americano, da poco scomparso, Stephen Jay Gould, ha sostenuto con convinzione che il bisogno di raccontare fa parte della natura stessa dell'uomo:
Siamo creature che raccontano storie; la nostra specie avrebbero dovuta chiamarla Homo narrator (o forse Homo mendax per riconoscere l'aspetto fuorviante che c'è nella narrazione di storie) anzichè con il termine spesso non appropriato di Homo sapiens. La modalità narrativa ci riesce naturale, come uno stile per organizzare pensieri e idee.
Non molto diverso il parere di un altro studioso americano molto noto, il pedagogista Jerome Bruner, il quale ha sostenuto che raccontare storie su di noi stessi e sugli altri è "la maniera più precoce e naturale con cui noi uomini organizziamo la nostra esperienza e le nostre esperienze"; "gli esseri umani danno un significato al mondo raccontando storie su di esso".
da Guida breve allo studio della letteratura
Remo Ceserani
Lode alla scrittura nei secoli dei secoli, amen.
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