Chi era ella mai?
Era uno spirito senza equilibrio in un corpo voluttuario. A similitudine di tutte le creature avide di piacere, ella aveva per fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo. La sua facoltà precipua, il suo asse intellettuale, per dir così, era l'imaginazione: una imaginazione romantica, nudrita di letture diverse, direttamente dipendente dalla matrice, continuamente stimolata dall'isterismo. Possedendo una certa intelligenza, essendo stata educata nel lusso d'una casa romana principesca, in quel lusso papale fatto di arte e di storia, ella erasi velata d'una vaga incipriatura estetica, aveva acquistato un gusto elegante; ed avendo anche compreso il carattere della sua bellezza, ella cercava, con finissime simulazioni e con una mimica sapiente, di accrescerne la spiritualità, irraggiando una capziosa luce d'ideale.
Ella portava quindi, nella comedia umana, elementi pericolosissimi; ed era occasion di ruina e di disordine più che s'ella facesse publica professione d'impudicizia.
Sotto l'ardore della imaginazione, ogni suo capriccio prendeva un'apparenza patetica. Ella era la donna delle passioni fulminee, degli incendi improvvisi. Ella copriva di fiamme eteree i bisogni erotici della sua carne e sapeva transformare in alto sentimento un basso appetito...
Così, in questo modo, con questa ferocia, Andrea giudicava la donna un tempo adorata. Procedeva, nel suo esame spietato, senza arrestarsi d'inanzi ad alcun ricordo più vivo. In fondo ad ogni atto, a ogni manifestazione dell'amor d'Elena trovava l'artifizio, lo studio, l'abilità, la mirabile disinvoltura nell'essere un tema di fantasia, nel recitare una parte dramatica, nel combinare una scena straordinaria. Egli non lasciò intatto alcuno de' più memorabili episodii: nè il primo incontro al pranzo di casa Ateleta, nè la vendita del cardinale Immenraet, nè il ballo dell' Ambasciata di Francia, nè la dedizione improvvisa nella stanza rossa del palazzo Barberini, nè il congedo su la via Nomentana nel tramonto di marzo. Quel magico vino che prima lo aveva inebriato ora gli pareva una mistura perfida.
Ben però, in qualche punto, egli rimaneva perplesso, come se, penetrando nell'anima della donna, egli penetrasse nell'anima sua propria e ritrovasse la sua propria falsità nella falsità di lei; tanta era l'affinità delle due nature. E a poco a poco il disprezzo gli si mutò in una indulgenza ironica, poichè egli comprendeva. Comprendeva tutto ciò che ritrovava in sè medesimo.
da Il piacere
Gabriele D'Annunzio
Nessun commento:
Posta un commento