Ella si era domandata spesso se mai era stata, o avrebbe mai potuto essere, intima di qualcuno. Aveva un'ideale dell'amicizia, e così di parecchi altri sentimenti che non le sembrava completamente rappresentato dal caso presente, come non lo era sembrato in altri casi. Si andava ripetendo, tuttavia, che c'erano ragioni essenziali per cui l'ideale non può realizzarsi mai. Era cosa in cui credere, non da vedere: era questione di fede, non di esperienza. L'esperienza, però, poteva fornire imitazioni molto stimabili, e toccava alla saggezza accontentarsene come meglio poteva.
Non vi è base più comune per una unione d'una scambievole incomprensione.
"Non mi creda scortese, ma è proprio questo che mi piace: che lei mi perda di vista. Se si stesse nello stesso luogo, sentirei che lei sta sempre lì a guardarmi, e questo non mi piace...amo troppo la mia libertà. Se c'è una cosa al mondo che amo," continuò con un leggero ritorno di superiorità "è la mia indipendenza".
Questo è molto immaturo da parte sua. Quando avrà vissuto tanto quanto me, si accorgerà che ogni essere umano ha il suo guscio e che bisogna prendere in considerazione anche il guscio. Ma per guscio intendo tutto l'involucro delle circostanze. Un uomo, una donna isolati non esistono: ciascuno di noi è fatto di qualche grappolo di accessori. Che cos'è il nostro 'io'? dove comincia? dove finisce? Trabocca in tutto ciò che ci appartiene e poi rifluisce di nuovo in noi. So che gran parte di me è nei vestiti che scelgo e che indosso. Io ho un gran rispetto per le cose ! Il nostro io, per gli altri, è l'espressione che noi diamo del nostro io; e la nostra casa, i nostri mobili, il nostro abbigliamento, i libri che leggiamo, gli amici che scegliamo...tutte queste cose sono profondamente significative!"
"Cerco di pensare più al mondo che a me stessa...ma torno sempre a me perché ho paura." Tacque. La sua voce aveva tremato un poco. "Sì, ho paura; non so come dire. Una fortuna simile significa la libertà, e io ne ho paura. E' una cosa tanto bella, e bisognerebbe farne buon uso, altrimenti ci sarebbe da vergognarsi. E bisogna continuare a pensare: è uno sforzo costante. Non so se sia una felicità maggiore essere privi di ogni potere."
"Non dubito che sia una felicità maggiore per i deboli. Per i deboli dev'essere terribile lo sforzo per non rendersi disprezzabili."
Era capace di sentirsi un po' ferita dalla scoperta d'essere dimenticata, ma di tutte le libertà, quella che trovava più dolce era la libertà di dimenticare.
"Secondo me," disse " le cose dovrebbero piacere o non piacere. Non tutto può piacere, si capisce, ma perché volerlo spiegare a tutti i costi? Non si sa mai dove si potrebbe arrivare. Ci sono alcuni buonissimi sentimenti che possono avere motivi cattivi, è vero o no? E così talvolta ci possono essere pessimi sentimenti che hanno ottimi motivi. Capisce quel che voglio dire? A me non importa nulla dei motivi, ma so quel che mi piace".
Non essendo mai stato un visitatore importuno, non aveva avuto mai l'occasione di rendersi sgradito; le si era raccomandato con quell'aria di essere perfettamente in grado di poter fare a meno di lei come lei lo era di fare a meno di lui: qualità che, strano a dirsi, la colpiva sempre come base favorevole per stringere una relazione.
Si prendeva tanto sul serio però; era, questo, qualcosa di terribile. Sotto tutta la sua cultura, il suo ingegno, la sua amenità, sotto il suo buon carattere, la sua disinvoltura, la sua conoscenza della vita, si nascondeva l'egoismo come una serpe in una proda fiorita.
La concezione della vita aristocratica era per lei semplicemente l'unione di un grande sapere con una grande libertà: il sapere avrebbe dato un senso di dovere, e la libertà un senso di godimento. Ma per Osmond era solo questione di forme, un atteggiamento consapevole, calcolato.
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