Quale consolazione può essere avere i tuoi amici scrittori. Quelli bravi, si capisce, quelli che insieme ai cani ti allungano la vita, non come quel Fabio ormai citato ovunque a cui Sterne avrebbe tirato pesanti sedie di ferro in testa. No.
Interessante, malleabile, eppur impalpabile senso di estraneità c'è nell'aria in questi giorni. Nell'aria del mio bilocale. E' inverno su-per-giù. Sì, direi inverno, le serate invernali prendono posto e si accomodano qui fuori dalla mia finestra. Sapore di bistecche che vengono cotte, nei corridoi. Sapore di Eliot nei 2x1m del mio corridoio.
Ho letto l'intervista che George Simenon rilasciò a Carvel Collins, pubblicata su The Paris Review, 1955.
Mi è venuta a questo punto una voglia spontanea di abbracciare George Simenon, il quale però è passato a miglior vita l'anno in cui io nacqui - l'anno in cui anche Beckett passò a miglior vita e Beckett in fin dei conti è un altro che si potrebbe abbracciare volentieri quando non è alle prese con essere umani sciancati rinchiusi in tolle con la segatura- e quindi, non saprei, il massimo che potrei fare è andare a visitare la sua tomba. Chissà poi dov'è questa sua tomba: in Belgio, in Svizzera?
Ciao George, sono venuta a dirti che apprezzo le tue parole, sì, apprezzo soprattutto quando parli della comunicazione, l'impossibilità di una comunicazione completa con uno dei miliardi di esseri umani che popolano il pianeta. Anche a me ogni tanto questo problema fa venire voglia di gridare, George. E a volte lo faccio, eccome, quando torno a 'casa', il fine-settimana, e guido per tutti quei chilometri, metto la musica altissima e faccio finta di gridare. George, non puoi immaginarti quanto sia bello comunicare nella nostra epoca, la globalizzazione e tutte queste storie, tu te le sei perse George, ma è bellissimo, si possono avere miliardi di amici in rete con cui condividere i tuoi pensieri e le emozioni.
E' così indescrivibilmente splendido che sono venuta fin qui per dialogare con una tomba.
Non lo so George, perchè se scrivere è sul serio una vocazione d'infelicità e come tu dici un'artista forse non può essere davvero felice, qui funziona tutto davvero ironicamente, significherebbe che la mia gioia e il mio conforto nel leggerti sarebbero basate sulla tua infelicità e io non voglio davvero crogiolarmi e succhiare giuggiole nel tuo dolore, carissimo George. Ma sapessi che importa a te ora di queste stupidaggini, dell'infelicità, il dolore e tutto il resto, lì sotto terra dove stai adesso, ah, stammi bene vecchio G., almeno tu.
Sì ancora tu, ma non dovevo leggerti più?!
VIC
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