Non capisco più niente, sono solo molto nervosa, più del solito, vuoi per i film di Nanni Moretti, vuoi per il caffè, vuoi per la lettura delle Memorie del sottosuolo. Ne ho letto un pezzo e poi ho guardato Taxi Driver, che è stato messo in una di quelle classifiche che la gente ama fare -del resto assolutamente inutili- al quarantasettesimo posto dei film più belli della storia del cinema e il merito sì certo è anche di Martin Scorsese e De Niro e tutti quanti, però se non ci fossero state queste pagine Scorsese e De Niro non avrebbero potuto fare proprio un bel niente.
"...Ecco, un uomo così spontaneo io lo considero un uomo autentico, normale, come voleva intenderlo la più tenera delle madri, la natura, che l'ha amorevolmente partorito. Un uomo del genere, io lo invidio fino al travaso di bile. Certo è uno stupido, non discuto, ma forse un uomo normale deve proprio essere stupido , che ne sapete voi? Forse questo è anche bello. E il mio sospetto è fondato tanto più se considero, per esempio, l'antitesi dell'uomo normale, colui cioè che ha una coscienza vigorosa, nato naturalmente da un alambicco, non dal ventre della natura, ecco che quest'uomo d'alambicco pascola davanti alla sua antitesi fino al punto da considerarsi, onestamente, con la sua coscienza vigorosa, un topo e non un uomo. Sia pure un topo vigorosamente consapevole, ma pur sempre un topo di fronte a un uomo, e dunque...
Il fatto è che lui stesso si considera un topo; non glielo chiede nessuno; e qui sta il punto fondamentale. Osserviamolo, questo topo in azione. Supponiamo che anche lui sia stato offeso (capita quasi sempre) e che anche lui abbia voglia di vendicarsi. Forse in lui si accumula ancora più rabbia che nell' Homme de la nature et de la veritè, una schifosa, miserevole voglia di restituire l'offesa con la stessa rabbia, anzi la rabbia gli roderà l'anima peggio ancora che all' Homme de la nature et de la veritè, perchè l' Homme de la nature et de la veritè, per la sua innata stupidità considera la sua vendetta semplicemente un atto di giustizia; e il topo per via della vigorosa coscienza nega questa giustizia. Arriva alla fine il momento della vendetta. Il povero topo, oltre alla propria iniziale laidezza, è riuscito ad ammassare intorno a sè, grazie alla sua vigorosa coscienza, una quantità di altre laidezze: a un problema riconduce un'infinità di problemi irrisolti tanto che gli si raccoglie intorno senza che lo voglia un mortifero brago, una fetida melma fatta dei suoi dubbi, delle sue esitazioni, e degli sputi che gli tirano addosso gli uomini spontanei e attivi, che lo accerchiano solennemente, travestiti da giudici e da dittatori, che sghignazzano di lui a squarciagola. Chiaramente a lui non resta che infischiarsene di tutto, con un gesto della zampa e con un largo sorriso di disprezzo cui è il primo a non credere, e strisciare indecorosamente nella sua tana. Lì, nel suo schifoso, fetido sottosuolo il nostro topo offeso, deriso e bastonato si immerge in una gelida, velenosa e, quel che è peggio, inestinguibile rabbia. Ricorderà i quarant'anni consecutivi di offese, fino agli ultimi, più vergognosi dettagli a cui ogni volta aggiungerà di suo particolari ancora più vergognosi eccitandosi ed esasperandosi con la fantasia. Sarà il primo a vergognarsi della sua visionarietà, e tuttavia riporterà tutto alla memoria, srotolerà tutto, inventando cose mai accadute col pretesto che avrebbero potuto accadere e non perdonerà nulla. Comincerà magari anche a vendicarsi, ma a tratti, marginalmente, nascosto dietro la stufa, in incognito, non credendo neppure nel proprio diritto di vendicarsi, nè nel successo della propria vendetta, e sapendo in anticipo che da tutti i suoi tentativi di vendicarsi patirà cento volte di più di chi deve subire la vendetta, della quale non s'accorgerà neppure. E anche sul letto di morte ricorderà ogni cosa con tutti gli interessi accumulati nel tempo, e... Ma ecco, proprio in questa fredda, disgustosa semidisperazione e semifede, in questo consapevole quarantennale sotterramento di se stesso, ancora vivo, nel sottosuolo a causa dei suoi tormenti, in questa situazione senza via d'uscita volutamente creata eppure continuamente messa in discussione, in tutto questo veleno di desideri insoddisfatti che gli è entrato dentro, in tutta questa indecisione febbrile fra decisioni irrevocabili e pentimenti improvvisi, si racchiude il succo di quella strana ebbrezza di cui parlavo. E' così sottile, elude a volte la coscienza, che a malapena le persone limitate o anche, semplicemente, le persone coi nervi d'acciaio saprebbero coglierne anche solo una sfumatura [...] non capiscono la rarità di una simile ebbrezza. Codesti signori, in alcuni casi, per esempio, sebbene muggiscano come tori, a gola spiegata, di fronte a un ostacolo, e sebbene ciò possa essere estremamente nobile da parte loro, ammettiamolo pure, però, come ho già detto, si placano subito. L'ostacolo, cioè il muro di pietra? Quale muro di pietra? Bè, è ovvio, le leggi della natura, i dati delle scienze naturali, la matematica. Già, quando ti dimostrano che tu discendi dalla scimmia non c'è niente da aggrottare la fronte, accetta le cose come stanno. [...]
Signore Iddio che me ne faccio, io, delle leggi di natura e dell'aritmetica se queste leggi e il due-per-due-quattro chissà perchè non mi piacciono? Si capisce, non tenterò di abbattere il muro con la fronte se in effetti non avrò le forze per farlo, ma non mi acquieterò neppure soltanto perchè ho di fronte un muro e non mi bastano le forze per abbatterlo.
Come se un umile muro di pietra potesse davvero acquietarti e racchiudesse magari un messaggio di pace unicamente perchè due volte due fanno quattro. Suprema idiozia! Allora tanto fa capire, rendersi conto di tutto, di tutte le impossibilità e di tutti i muri di pietra; e non rassegnarsi a nessuna di queste impossibilità e di questi muri di pietra se ti ripugna rassegnarti; e giungere attraverso le più stringenti combinazioni logiche alle disgustose conclusioni sull'eterno tema per cui anche del muro di pietra sei tu il colpevole, sebbene sia evidentissimo che non lo sei affatto e, di conseguenza, rattrappirsi nell'inerzia, con l'idea che puoi anche infuriarti ma non c'è nessuno con cui prendersela; che la causa non si trova e, forse, non si troverà mai; che qui c'è una sostituzione, un travisamento, una truffa, che qui c'è semplicemente un intruglio, non si sa cosa e non si sa chi, ma nonostante tutte queste impossibilità e tutti questi travisamenti, tu stai male e, quanto meno sai, tanto più stai male."
Amen.
Ecco così è nato Travis Bickle. Che poi è abbastanza curioso, perchè proprio qualche giorno prima di leggere queste pagine stavo discutendo con mia madre. Eravamo in macchina e parlavamo di religione, è una cosa che mi piace massimamente fare con mia madre perchè lei è una cristiana convinta cresciuta a chiesa e catechismo in un certo senso, ma allo stesso tempo tiene in massima considerazione tutto ciò che io dico, io che al contrario sono una piccola atea o semi-atea o comunque un essere ancora alla ricerca di qualcosa e che non crede esattamente alla Bibbia, va bhè, insomma che si crea sempre un curioso contrasto e ricordo esattamente che si stava parlando di folklore, allora io ho detto qualcosa del tipo: "Sì sì folklore, tipo le storie che raccontano nella Bibbia!" Lei un pò turbata mi risponde: "E quindi tu sei convintissima che tutte quelle storie siano solo leggende inventate?". "Si capisce, le scoperte scientifiche hanno distrutto mattone dopo mattone l'intero edificio religioso, se ti dimostrano che discendi dalla scimmia non ci puoi fare niente, devi accettarlo."
E poi pochissimi giorni dopo l'ho ritrovato scritto in Memorie del sottosuolo, mi piacciono queste piccole coincidenze, mi fanno pensare ogni tanto che forse il mio pseudo-ateismo conosce qualche attimo di fallimento.
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